Maurizio Rossi2 e Anna Gattiglia3

Archeologia rupestre nelle Alpi Cozie:
sondaggi geo-archeologici
a Roccho Vélho
(Pramollo, Torino)
1

Indice

indice foto con didascalie

panorama di foto con massimo ingrandimento

(dal momento che il computer riduce le dimensioni degli orginali

si consiglia di aprire i file originali con opportuno programma grafico

gli originali si trovano nella stessa cartella)


1. Introduzione

2. I sondaggi geo-archeologici a Roccho Vélho


2.1. Localizzazione, accesso e condizioni ecologiche
2.2. I petroglifi
4 2.3. Svolgimento dei lavori
2.4. Estensione e ripartizione
5 2.5. Geo-archeologia, sedimentologia, stratigrafia e strutture

2.6. Materiali
a) Selce
b) Quarzite
c) Gneiss
d) Petroglifi
e) Materiale artificiale di origine minerale
f) Terra cruda pressata
g) Ceramica
h) Vetro
i) Ferro
j) Rame
k) Resti vegetali macroscopici
l) Deiezioni animali
2.7. Osservazioni conclusive

3. Archeologia stratigrafica del territorio

4. Bibliografia


*******


1. Introduzione

Una campagna di archeologia rupestre ha avuto luogo nel 1996 a Pramollo, in val Risagliardo (Torino). Organizzazione logistica e finanziamento sono stati efficacemente curati dal Consiglio Direttivo del Centro Studi e Museo d’Arte Preistorica di Pinerolo e in particolare dal prof. Dario Seglie, al quale va un doveroso riconoscimento per la sensibilità da sempre dimostrata per la inconsueta tematica affrontata. In Pramollo, la Casa Valdese, la Pro Loco, la Segreteria comunale e diversi abitanti a titolo personale hanno offerto collaborazione e appoggio logistico. La direzione scientifica delle operazioni sul terreno è stata affidata ad Antropologia Alpina di Torino.

Sono stati realizzati due diversi interventi:
– prospezione archeologica della cresta spartiacque Risagliardo / Germanasca;
– sondaggi geo-archeologici ai piedi del masso inciso localmente noto come Roccho Vélho.
Entrambi gli interventi si sono conclusi in modo ampiamente positivo. Il presente contributo è dedicato ai risultati dei sondaggi geo-archeologici, mentre i principali risultati della prospezione archeologica sono stati pubblicati in altra sede
4.

La restituzione dei rilievi eseguiti sul terreno e lo studio dei materiali mobili recuperati sono stati compiuti in gran parte dagli autori del presente contributo nei laboratori di Antropologia Alpina. Allo studio dei materiali mobili hanno però fattivamente collaborato Francesco Fedele
5 e Alberto Mottura6 per la litica, Pierre Rostan7 e Rosalino Sacchi8 per la petrografia, Yves Billaud9, Maurizio Gomez Serito10, Bernard Gratuze11 e Renato Nisbet12 per la perlina in materiale artificiale di origine minerale, Giovanna Cattaneo13 per la ceramica, Giorgio Fea14 per la numismatica, Marziano Di Maio15 per la carpologia.

2. I sondaggi geo-archeologici a Roccho Vélho


2.1. Localizzazione, accesso e condizioni ecologiche

Roccho Vélho (coordinate UTM 32TLQ56577576; altitudine 1 479 m) si erge di 2 ÷ 6 m al di sopra del piano di campagna attuale, in un pascolo rimboschitosi nell’ultimo quarto di secolo16, mezzo km a Sud di lâ Mianda ‘d Laz Arâ e un’ottantina di m a Ovest del sentiero che da tale località discende verso la frazione Bocchiardi. Il sito non è dunque molto distante dalla cresta spartiacque Germanasca / Risagliardo oggetto delle prospezioni cui si è precedentemente accennato (fig. 1 ÷ 8).
Il toponimo è relativamente antico, in quanto nel 1764 il Libro delle Valbe
17 della Magnifica Communità di Pramolo Valle di Perosa18, registra su questo versante una «Regione di Rocha Vechia, ò Sia Piano del Colletto, ò Sia Sagna del Fago», corrispondente alla parcella 1196 (fig. 9), accatastata come «Pastura con Roche, e qualche Malegine [= larice]» di proprietà della «Communità»19. La roccia che dà il nome alla regione si situa nel settore Nord-Ovest di tale parcella e non coincide con alcun confine o vertice del catasto che è oggetto del Libro delle Valbe.
Da un punto di vista geomorfologico, Roccho Vélho è un affioramento del substrato, localmente costituito da gneiss minuti e micascisti, forse permiani, del Complesso di Faetto
20.


2.2. I petroglifi

I petroglifi di Roccho Vélho sono noti in bibliografia sin dal 196521.
Essi comprendono un centinaio di coppelle di tipo Monsagnasco
22, realizzate alla sommità dell’affioramento (fig. 4 e 10), su di una stretta superficie rocciosa suborizzontale di aspetto e litologia differenti dal resto dell’affioramento stesso. Le coppelle sono disposte in parte senza un ordine apparente e in parte in formazioni subcircolari o subspiraliformi.
Nella parte Est di tale faccia incisa sono inoltre presenti alcuni cruciformi a solco
23, in parte costituiti dall’unione di più coppelle, i cui rapporti con gli altri petroglifi attendono di essere meglio chiariti.
Su di alcune altre facce di Roccho Vélho si osservano sporadiche iscrizioni in alfabeto latino, relativamente recenti.
Una delle facce di maggiori dimensioni, immediatamente sottostante alle coppelle e inclinata verso Sud-Est, presenta una superficie levigata, lunga 3.5 m e larga 0.3 ÷ 0.4 m (
fig. 7 e 12), il cui levigamento è il risultato del ripetuto uso di tale faccia a mo’ di scivolo, a scopo ludico più che rituale24.


2.3. Svolgimento dei lavori

Dell’intero affioramento roccioso è stato innanzitutto realizzato un rilievo planimetrico quotato, mediante microtrilaterazione, con misura diretta delle distanze per mezzo di nastro millimetrato in acciaio, misura dei dislivelli per mezzo di livello ottico e stadia e restituzione automatica delle coordinate piane mediante computer e un apposito programma GW-Basic (TRILATE.BAS), compilato e gentilmente messo a disposizione da Corrado Lesca25.
A tale rilievo è stata opportunamente collegata la quadrettatura di scavo (
fig. 11).
Prevedendosi, come già in altri casi analoghi
26, una certa povertà del giacimento, allo scopo di garantirsi dei buoni risultati, sono stati adottati, sin dai livelli più superficiali, metodi di scavo e di trattamento dei sedimenti privilegianti la qualità rispetto alla quantità.
Un accurato controllo della topografia di dettaglio del giacimento, con approssimazione delle coordinate plani-altimetriche di ± 1 cm e con restituzione manuale in scala 1:10 dei rilievi realizzati mediante coordinatometro ortogonale da campagna, livello ottico e stadia, si è accompagnato alla setacciatura a secco della totalità dei sedimenti asportati, per mezzo di due serie di setacci granulometrici in acciaio con maglie di 8, 4 e 2 mm rispettivamente, seguita dalla vagliatura analitica delle frazioni &Mac179 2 mm effettuata in cantiere di scavo.



2.4. Estensione e ripartizione

È stato intrapreso lo scavo geo-archeologico di 23 quadrati di 1 m di lato, suddivisi in 4 settori, localizzati rispettivamente a Nord (1), a Est (2), a Sud (3) e a Ovest (4) di Roccho Vélho (fig. 5, 8 e 11). Il settore 4 è completamente all’aperto, mentre i settori 1 e, più estesamente, 2 e 3 si trovano parzialmente sotto parete aggettante (fig. 5 ÷ 7, 12 15 e 24 25).
Solo sei quadrati (I27 e L26 nel settore 1, G18, G19, H18 e H19 nel settore 4) possono ritenersi esauriti, in quanto vi si sono raggiunti grossi massi (fig.
16, 22 ÷ 24 e 26) verosimilmente riferibili al substrato. Nel settore 4 (Ovest) i sondaggi possono comunque ritenersi conclusi, almeno nelle immediate adiacenze di Roccho Vélho, in quanto non paiono sussistervi ulteriori problemi crono-stratigrafici meritevoli di chiarimento.
In tre quadrati (I26, I27 e N23) sono stati raggiunti o attraversati strati verosimilmente coevi o antecedenti all’inizio della frequentazione umana del sito (fig.
20, 24, 27 e 29 ÷ 31).


2.5. Geo-archeologia, sedimentologia, stratigrafia e strutture

I sondaggi hanno messo in luce la seguente successione stratigrafica (dall’alto in basso; fig. 27 ÷ 31):
H: strato di terra vegetale attuale e subattuale a carboni diffusi, spesso mediamente 10 ÷ 20 cm, con scheletro dominante di clasti prevalentemente lastroidi da centimetrici a ultradecimetrici;
CGc: strato di origine colluviale marrone-giallastro ricco di elementi carboniosi sporadici, spesso mediamente 30 ÷ 40 cm, con matrice limoso-argillosa eluviata e scheletro dominante di clasti prevalentemente lastroidi da centimetrici (più abbondanti in alto) a ultradecimetrici; in prossimità del contatto con il substrato roccioso, limitatamente alle areole sotto parete aggettante, esso si presenta più aerato, ghiaioso e di colore tendente al grigiastro;
A: strato costipato giallo-arancio, risultante dalla eluviazione degli strati soprastanti, con matrice argillosa e scheletro meno abbondante;
R: grandi massi verosimilmente corrispondenti a lembi scollati del substrato roccioso, con tracce di alterazione prevalentemente crioclastica e secondariamente chimica, più evidenti sotto parete aggettante («sfatticcio» di roccia in posto).
Nel complesso, i tre strati sopradescritti presentano inclinazioni concordanti e tali da indicare che si sono messi in posto contornando Roccho Vélho.
Il passaggio dallo strato CGc a quello A è generalmente piuttosto netto.
Nel settore 1, e più precisamente nei quadrati L25 e L26, lo strato CGc si presenta profondamente eroso lungo il contorno di Roccho Vélho e di uno degli altri massi principali (M5; fig.
23 e 28). Ciò è dovuto alla presenza, immediatamente a Ovest di tali quadrati, di uno stretto corridoio roccioso inclinato verso Sud-Ovest (fig. 5 e 8), che ha funto da solco di scorrimento idrico, innescando l’erosione regressiva dei sedimenti sovrastanti, preferenzialmente al loro contatto con il substrato roccioso. Nelle depressioni lineari così formatesi si è successivamente infiltrato lo strato H. La concentrazione di clasti bidecimetrici che caratterizza attualmente tali depressioni potrebbe essere di origine tanto naturale, per un meccanismo analogo a quello che provoca la formazione dei suoli poligonali27, quanto culturale, a seguito dello spietramento del pascolo circostante Roccho Vélho.

Nel settore 1, dove lembi dello strato A sono stati raggiunti ma non attraversati (fig.
27 e 30), non si sono rinvenute strutture certe. Nel quadrato G27 è però venuto alla luce un ammasso di pietrame insolitamente fitto (F4), anche relativamente alle caratteristiche sedimentologiche generali del sito, composto da clasti molto ravvicinati e apparentemente appiattiti (fig. 12). Sullo stesso livello sono state rilevate due lenti, di spessore infracentimetrico, di terra cruda (o poco cotta) pressata di colore rosato, ampie rispettivamente 17x11 cm? e 15x8 cm? (fig. 16). Non si può escludere che si tratti nel complesso di un piano di calpestio o dei ruderi di una costruzione di natura da determinare. L’insieme è stato lasciato in posto, in attesa di sciogliere l’incognita mediante l’ampliamento dello scavo nei quadrati circostanti.
.
Nel settore 2, la successione stratigrafica messa in luce è più completa (fig.
29 e 31). Nel quadrato N23, situato per la maggior parte sotto parete aggettante, è stato rinvenuto un focolare lenticolare (F1), alla cui attività si devono le tracce di fumigazione visibili sulla parete stessa. Esso si presenta a pianta subtrapezoidale, con dimensioni massime di una sessantina di cm in direzione Ovest-Est e propaggini di oltre un metro in direzione Nord-Sud (fig. 12 e 18). Lo spessore massimo (12 cm) si registra alla sua estremità Nord, dove il terreno carbonioso si insinua per alcuni cm al di sotto della lastra M26 (poggiante su CGc), mentre si addossa nettamente al masso in quarzite M22 (immerso in CGc). M22 e M26 paiono volutamente posizionati, seppure in tempi diversi, a delimitare il focolare. Questo risulta poggiante sullo strato CGc e sottogiacente allo strato H, che vi si sovrappone formando un bisello inclinato. Due frammenti ceramici rinvenuti nel corpo di F1 (un bordo di piatto o bacino di slip ware di colore crema su bruno con tacche incise e una parete di piatto di invetriata verde craquelée, fig. 38-A e 43, reperti 212:1-2) datano la struttura al XVIII secolo; tale datazione è corroborata anche dall’associazione, riscontrata nel quadrato L27 (fig. 14 ÷ 16, 33-A, 38-A, 39 e 43 44), di due frammenti del medesimo piatto di invetriata verde (131:2+3) con una moneta del 1785 (131:1). Sempre nel quadrato N23, 25 cm più in basso di F1 e un paio di cm al di sopra del contatto CGc / A, è stata rilevata un’areola carboniosa ondulata di 18x10 cm?, spessa 2 ÷ 3 cm, discontinua ma ben percepibile in sezione (fig. 19, 29 e 31), che potrebbe corrispondere ai resti di un piccolo focolare più antico (F3), forse estendentesi nel quadrato adiacente a Nord (N24), dove i sondaggi si sono per ora arrestati alla sommità dello strato CGc.

Lo scavo di dettaglio, la setacciatura a secco dei sedimenti asportati e la vagliatura analitica delle frazioni &Mac179 2 mm hanno permesso di recuperare numerosi materiali di origine antropica (tab. 1), persi o volutamente abbandonati, nel corso dei millenni, dai frequentatori di Roccho Vélho. È probabile che tali materiali appartenessero almeno in parte agli incisori rupestri.

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Nel settore 3, i sondaggi hanno messo in luce un conoide di pietrame debolmente inclinato da Nord a Sud (F2), che si apre a ventaglio tra due pie’ di parete a partire da un apice situato sotto un basso tetto roccioso (fig.
12, 21 e 25). Si tratta sicuramente di una forma artificiale, in quanto il pietrame qui ammonticchiato risulta chiaramente granoclassato e comprende non soltanto clasti autoctoni, ma anche cinque lastrine decimetriche in gneiss cloritico minuto molto quarzoso, assenti negli altri settori di scavo e certamente alloctone (fig. 37-A e 41). Poiché diversi manufatti in pietra, ceramica, vetro e metallo erano interstratificati con il pietrame in questione (fig. 12 ÷ 15), la struttura F2 può per ora essere interpretata tanto come spietramento (clapìe), quanto come discarica.
Nel settore 4, il substrato roccioso risulta sottogiacente al solo strato H. La scarsa terra vegetale, contenente materiali archeologici prevalentemente recenti (non anteriori alla tarda età moderna), è qui frammista a un abbondantissimo scheletro clastico molto grossolano, del quale essa si limita a colmare gli interstizi (fig.
13 ÷ 15, 22 e 26). Non è ancora chiaro in quale misura questi clasti, poggianti direttamente sul substrato, abbiano assunto tale posizione per cause naturali o, al contrario, antropiche (spietramento del pascolo). È certo però che, sino a un paio di secoli fa, in questo settore il substrato ora raggiunto con i sondaggi doveva essere nudo e accessibile: di conseguenza, tenendo anche conto del fatto che il rimboschimento del pascolo è un fenomeno recente29, Roccho Vélho doveva in passato ergersi sul piano di campagna in misura notevolmente superiore a oggi.

La successione stratigrafica di Roccho Vélho concorda abbastanza puntualmente con la parte superiore (strati 11-13) di quella individuata nel sito lâ Mianda ‘d Laz Arâ 2 (1 528 m), circa 300 m a Nord di Roccho Vélho, in corrispondenza di un taglio del versante praticato nel corso del tracciamento della strada per il Colle Laz Arâ, dove sono stati osservati ben 13 strati sovrapposti, compresa la roccia del substrato (fig.
32). Poiché la successione di lâ Mianda ‘d Laz Arâ 2 compendia l’intera storia geologica del versante in esame, le caratteristiche della copertura sedimentaria circostante Roccho Vélho paiono riflettere fenomeni non strettamente locali.


2.6. Materiali

Lo scavo di dettaglio, la setacciatura a secco dei sedimenti asportati e la vagliatura analitica delle frazioni ³ 2 mm dana">hanno permesso di recuperare numerosi materiali di origine antropica (tab. 1), persi o volutamente abbandonati, nel corso dei millenni, dai frequentatori di Roccho Vélho. È probabile che tali materiali appartenessero almeno in parte agli incisori rupestri.


a) Selce

I reperti più suggestivi sono due piccoli frammenti di selce provenienti dal settore 1 (quadrato I27, strato CGc), che, per le loro caratteristiche tipometriche, potrebbero risalire al calcolitico (fig. 13, 17, 33-A e 39):
– una scheggia (113:16) grigio-rossiccia, opaca, con tallone liscio perfettamente conservato e bulbo di percussione angolato;
– un frammento (113:15) di strumento ipermicrolitico a dorso grigio-rossiccio, lucido, con ritocco diretto, semierto, tallone puntiforme e bulbo di percussione (frammento di semiluna? o di punta triangolare?).

b) Quarzite

I sedimenti adiacenti a Roccho Vélho contengono abbondanti frammenti di quarzite, molti dei quali, data l’esistenza di quarziti autoctone incluse negli gneiss minuti e nei micascisti del substrato, sono certamente di origine naturale, mentre solo alcuni hanno un sicuro significato culturale (fig. 13). A causa della natura non facilmente diagnosticabile dei manufatti – sovente «usa e getta» – realizzati in tale materiale, l’eventuale significato culturale di diversi frammenti resta per ora da accertare. Poiché la presenza di segni antropici su di un frammento di quarzite è talora riconoscibile sulla base delle differenze riscontrabili rispetto ai frammenti omotopici sicuramente naturali, diversi di questi ultimi sono stati conservati allo scopo di fungere da collezione di raffronto.
Due pesanti percussori (fig.
34 e 40, reperti 31:1 e 122:2) sono stati ottenuti per sommaria sgrezzatura bifacciale di due blocchi, la cui forma naturale doveva essere già abbastanza simile a quella dello strumento che si voleva ottenere. Oltre che alcune nette cicatrici di stacchi intenzionali, entrambi presentano una punta smussata dall’uso; il secondo conserva probabilmente resti di cortice. Sono stati raccolti rispettivamente nel settore 3 (in superficie, accanto a F2 o forse al margine di essa) e nel settore 1 (quadrato G27, strato H; fig. 16).


Tabella 1

Tabella 2

Tabella 3

Tabella 4

Tabella 5

Tabella 6

Tabella 7


Inventario dei materiali rinvenuti mediante i sondaggi geo-archeologici a Roccho Vélho.


Dal settore 3 proviene anche un terzo possibile percussore (311:3, quadrato M17, strato H; fig. 21), non lavorato, più improvvisato degli altri due e abbandonato dopo un breve funzionamento. Così come per alcuni oggetti simili, rinvenuti negli scavi effettuati ai piedi delle rocce Bergerie de l’Égorgéou 3 e Peyroun 1 (Ristolas, Hautes-Alpes), o nelle immediate vicinanze delle rocce Longis 30 e Longis 65 (Molines-en-Queyras, Hautes-Alpes)30, gli elementi che fanno ipotizzare un suo possibile interesse culturale sono la presenza di una punta smussata diametralmente opposta a una punta di forma simile, ma acuta, e la sua attitudine ergonomica a essere tenuto in mano. È possibile, anche se non accertato, che questi strumenti siano serviti a realizzare alcuni dei petroglifi di Roccho Vélho; occorre peraltro sottolineare che si tratta verosimilmente di strumenti multifunzionali, cioè non esclusivamente destinati alla realizzazione di petroglifi31.
Un nucleo poliedrico (fig.
34 e 41, 113:7), con almeno tre piani di percussione e altrettante cicatrici (due delle quali con striature) prodottevi dallo stacco di microschegge, proviene dal settore 1 (quadrato I27, strato CGc, medesimo taglio dei reperti in selce; fig. 17). Nel medesimo settore, due altri possibili resti di nuclei poliedrici (fig. 34 e 41, 135:4 e 135:6) sono stati rinvenuti nel quadrato L26 (strato H; fig. 16): entrambi mostrano un solo piano di percussione e una sola cicatrice di scheggiatura, il primo presenta anche striature su quest’ultima e probabili stimmate sul piano di percussione.
Due frammenti (fig.
35, 311:4 e 411:11), provenienti rispettivamente dai settori 3 (quadrato M17, strato H; fig. 21) e 4 (quadrato G18, strato H; fig. 22), hanno l’aspetto di schegge non ritoccate s.l. e potrebbero essere degli scarti di lavorazione: il primo mostra tallone e bulbo di percussione angolato, mentre il secondo conserva un esile tallone e una faccetta corticata.
Due lastrine con uno dei margini arrotondati (fig.
35, 135:3 e 137:1), provenienti dal settore 1 (quadrato L26, strato H; fig. 16), e un frammento angolare di lastra o prisma (fig. 35, 322:8), proveniente dal settore 3 (quadrato N17, struttura F2; fig. 21), non presentano alcuna sicura traccia di lavorazione e differiscono notevolmente tra loro quanto ad abito, ma potrebbero ugualmente avere un significato culturale se si rivelassero assimilabili o connessi ai dischi in gneiss successivamente descritti32.
Analogo discorso varrebbe per il ciottoletto spezzato 122:9 (settore 1, quadrato G27, strato H), forse levigato, se risultasse effettivamente essere, come pare possibile osservandone la forma, un secondo elemento forato della collana da cui si è staccata la perlina 122:7, rinvenuta nel medesimo taglio
33.
Due cristalli di rocca (136:1 e 222:7) sono stati rinvenuti, rispettivamente, nei settori 1 (quadrato L26, strato H; fig. 16) e 2 (quadrato N24, strato CGc). Il primo (fig. 41) è pressoché integro, lungo 1.5 cm, con base appuntita e terminazione piramidale a sei facce, e non reca tracce di lavorazione. Il secondo (fig. 41), invece, del quale si è conservata soltanto la base (cioè la parte che era originariamente attaccata alla drusa), larga solo 0.9 cm, caratterizzata da impurità rossastre e priva di facce residue, mostra alcune cicatrici prodotte dallo stacco di microschegge ed è probabilmente quanto resta di un nucleo. La sua presenza induce ad assegnare un significato culturale anche al reperto 136:1, che potrebbe essere quanto meno un manuport. Va ricordato a tale proposito che cristalli di rocca non lavorati e con scarse tracce di usura antropica compaiono tra gli elementi di corredo personale preistorici della Francia sud-orientale tra il Rhône e le Alpi
34.
Per quanto riguarda alcuni clasti sub-ialini certamente non lavorati (415:3, 421:7 e 424:1; fig. 22), non è per ora possibile stabilire se si tratti di manuports o di elementi del tutto naturali
35.


c) Gneiss

I settori 2 (quadrato N23, strato CGc), 3 (quadrato M18, struttura F2) e 4 (quadrati H18 e H19, strato H) hanno restituito quattro dischi in gneiss (213:3, 332:2, 414:1, 424:2, i primi tre ipermicacei), con diametro 7 ÷ 12 cm e spessore 1.6 ÷ 2.5 cm, ottenuti con ritocco erto o semierto, profondo, continuo, diretto, localmente bifacciale (fig. 13, 19, 21 ÷ 22, 36-A e 42). Il reperto 424:2 (quadrato H19) è più piccolo e frammentario, mentre il 213:3 (quadrato N23), singolarmente, giaceva nel terreno di coltello.
Manufatti morfologicamente simili sono noti in varii siti archeologici, tra cui:
– Balm’Chanto (Roure, Torino), micascisto, diametro 17 cm, spessore non precisato
36;
– Pré de la Bataille 1 (Ristolas, Hautes-Alpes), calcescisto, diametro 12 cm, spessore 1.5 cm
37;
– Orrido di Foresto - Le Voute (Bussoleno, Torino), calcescisto, assi 12 cm x 10 cm, spessore 1.8 cm
38;
– Brignano Frascata - «macchia antropica» (Alessandria), serpentinoscisto, diametro 12 cm, spessore 2.4 cm
39;
– Bressieux (Isère), quarzite, diametro 10 cm, spessore 3.0 cm
40;
– grotte des Cloches (Saint-Martin-d’Ardèche, Ardèche), calcare, misure non precisate
41;
– les Salins de Ferrières (Martigues, Bouches-du-Rhône), calcare «duro», diametro 15 ÷ 17 cm, spessore 2.4 ÷ 2.7 cm
42;
– grotte Gazel (Sallèles-Cabardès, Aude), quarzite, diametro 10 cm, spessore non precisato
43.
A seconda dei contesti, la datazione di tali strumenti oscilla tra la preistoria e l’età contemporanea
44, mentre la possibile funzione varia dal tappo di recipiente45 al peso per l’evacuazione del siero dai formaggi, dall’abbozzo discoidale di anellone al piattello da gioco46.
Per quanto riguarda quest’ultima ipotesi, va segnalato che manufatti molto simili a quelli in esame sono esposti in una vetrina del Museo Valdese di Pellenchi (Pramollo), accompagnati dalla seguente didascalia: «PIETRE PIATTE / li palet / Gioco in uso fin dal 1400: simile a / quello delle bocce, molto praticato / all’uscita da scuola»
47 (fig. 36-B e 42). Che tale gioco sia relativamente antico è confermato indirettamente da Marcellin Fournier, autore di un manoscritto intitolato Histoire générale des Alpes maritimes et cottienes, compilato negli anni 1626-1643, il quale, descrivendo le lotte religiose che afflissero il Queyras nel tardo XVI secolo, afferma che i protestanti «exécutèrent-ils ce que... leur âme... avoit excogité pour son gratieux passe-temps, en y enterrant les corps jusques au menton et faisant servir les testes de butte à leurs jeux de palets et autres fois de boule à leur divertissement de Brasiliens»48.

Come si è già accennato, dal settore 3 (quadrati M17 e N17, strato H e struttura F2) provengono cinque lastrine in gneiss cloritico minuto molto quarzoso, un materiale assente negli altri settori di scavo e certamente apportato dall’uomo, in quanto la roccia in questione, pur facendo parte della serie gneissica locale, non affiora negli immediati dintorni di Roccho Vélho.
I reperti (311:2, 311:5-6, 322:1, 322:6) hanno una sezione frontale di forma subtrapezoidale allungata o subrettangolare e dimensioni comprese tra 8 e 20 cm di lunghezza, 6 e 11 cm di larghezza, 1 e 4 cm di spessore (fig. 13, 21, 37-A e 41). Essi non rivelano alcuna traccia di lavorazione, né di uso, ma mostrano invariabilmente uno o due lati brevi nettamente più scabri del resto dell’oggetto, con margini acuti denotanti una fratturazione relativamente recente. L’idea che fanno nascere è quella di un materiale raccolto o cavato senza troppo sforzo da un affioramento dove esso si presenta naturalmente a liste fratturate. Lo scopo e la funzione di questi manuports restano per ora del tutto sconosciuti.


d) Petroglifi

A differenza da altre rocce incise che sono state oggetto di sondaggi e studi geo-archeologici49, ai piedi di Roccho Vélho non è stato individuato alcun petroglifo che fosse ricoperto da sedimenti, né si sono rinvenute lastrine gelive con resti di incisioni o manifestamente provenienti da superfici incise deteriorate (fig. 37-B).


e) Materiale artificiale di origine minerale

Dal settore 1 (quadrato G27, strato H) proviene una perlina torica (122:7) realizzata in un materiale di colore nerastro (fig. 15 _ 16, 33-A e 39), ad abito squamoso, indeterminabile all’osservazione macroscopica. Essa ha diametro di 6 mm, foro passante poco decentrato (diametro interno 1 mm) e inviti di forma differente l’uno dall’altro (diametri 1.8 e 2.0 mm). Uno di questi ultimi presenta una serie di microsolchi radiali che possono essere dovuti alla lavorazione del materiale, in fase di foratura, o allo sfregamento del filo intorno a cui la perlina doveva scorrere.
All’osservazione macroscopica il reperto pare funzionalmente confrontabile con una perlina vitrea rinvenuta a Wallingford (Oxfordshire), appartenente al tipo definito HMG (high magnesium glass), e, meno puntualmente, con un altro esemplare dello stesso tipo da Hauterive-Champréveyres (Neuchâtel)
50. Una perlina vitrea nera è segnalata anche a Poviglio (Reggio Emilia)51. Si tratta in tutti i casi di materiali della tarda età del bronzo.
Il vetro HMG risulta essere uno dei due più diffusi nell’Europa preistorica: è di provenienza mediterraneo-orientale, ma è possibile che sia stato lavorato in Europa usando semilavorati importati (lingotti, pani o canne).
La semplice somiglianza macroscopica con gli altri esemplari citati non pareva però un criterio sufficiente su cui basare lo studio comparativo dell’oggetto.
Per questa ragione, il reperto, insieme con altri provenienti da siti del Briançonnais, è stato affidato a Yves Billaud
52, che lo ha fatto sottoporre ad analisi non distruttive mediante spettrometria di massa, nel quadro del progetto di ricerca «Perles en verre du bronze final de Savoie (et des régions limitrophes)», diretto dallo stesso Yves Billaud e da Bernard Gratuze53. Le analisi hanno accertato la presenza di alluminio, silicio, calcio, ferro, manganese e bario in proporzioni che non hanno potuto essere determinate (calcio, ferro e manganese sono i responsabili del colore nerastro), ma, pur rivelando che la perlina non né è in vetro, né in metallo, non hanno permesso di precisarne la natura54.
Il reperto è stato quindi sottoposto ad analisi paleoantracologica da Renato Nisbet
55, che lo ha osservato al microscopio ottico in luce riflessa, senza riscontrarvi gli elementi anatomici caratteristici del legno, escludendo perciò che si tratti di un oggetto di origine vegetale carbonizzato.
La perlina è stata infine presa in esame da Maurizio Gomez Serito
56, specialista di petrografia dei materiali lapidei naturali, che ne ha determinato il peso specifico e l’ha osservata al microscopio binoculare.
La determinazione del peso specifico (= 0.4) si è rivelata non decisiva, in quanto, mentre il peso dell’oggetto (= 0.041 g) ha potuto essere determinato con grande precisione
57, ciò non è stato possibile per il volume, piccolissimo, che è stato misurato immergendo il campione in un cilindro graduato contenente acqua distillata, non potendosi utilizzare altri liquidi più idonei per timore di danneggiare il reperto.
L’osservazione al microscopio binoculare, da parte sua, pur permettendo di discernere, all’interno delle screpolature, una struttura porosa, spugnosa e parzialmente vetrificata, non visibile all’osservazione macroscopica, ha portato a escludere che si tratti di vetro, metallo o pietra, confermando quindi e precisando i risultati della spettrometria di massa, e a ipotizzare che si tratti di un materiale artificiale di origine minerale, come terra cotta o scoria, eventualmente frammisto a sostanze organiche carbonizzate.
L’ultimo esperimento non distruttivo che resta da compiere per chiarire definitivamente la natura del reperto è l’analisi al microscopio elettronico a scansione dotato di microsonda, la quale, benché prevista, non ha ancora potuto essere realizzata.


f) Terra cruda pressata

La terra cruda o poco cotta pressata (122:1) che è stata individuata nel settore 1 (quadrato G27), verso la base dello strato H (fig. 12 e 16), è un impasto comprendente una argilla di colore rosato e abbondanti inclusi micacei e quarzitici prevalentemente inframillimetrici, ma con punte sino a 0.4 cm.
In attesa di ampliare e approfondire i sondaggi in quel settore, qualsiasi precisa ipotesi funzionale concernente il materiale in questione sarebbe azzardata.


g) Ceramica

Vengono qui di seguito elencate le principali categorie e forme ceramiche che sono state riconosciute (fig. 14 e 16 ÷ 22).
A. Impasto tenero e depurato arancio: forma indeterminabile, con superficie lisciata, nerastra all’esterno e nocciola all’interno, probabilmente protostorica, testimoniata da un solo frammento molto consunto (215:2), proveniente dal settore 2 (quadrato N23, al tetto dello strato A).
B. Impasto grezzo lustrato bruno-rosato: un’olla da fuoco, testimoniata da un frammento di bordo (fig. 38-A e 43, 213:1) dal settore 2 (quadrato N23, strato CGc), probabilmente medioevale
58.
C. Impasti grezzi rosso-bruni: olle da fuoco, sempre medioevali, testimoniate da quattro frammenti di parete (122:4÷6, 222:3), provenienti dai settori 1 e 2 (quadrati G27 e N24, strati H e CGc), dei quali tre lievemente sabbiati (122:5-6, 222:3) e due recanti tracce di tornio lento (122:5, 222:3).
D. Impasto grezzo bruno-rosato: un’olla da fuoco fabbricata al tornio veloce, testimoniata da tre frammenti di parete (fig. 38-A e 43, 131:4+7 + 141:19) dal settore 1 (quadrati L27 e K27, strato H), forse tardomedioevale.
E. Ingubbiata a ramina e ferraccia: attestata da un minuscolo frammento di parete invetriata gialla e verde su ingobbio bianco (222:4), proveniente dal settore 2 (quadrato N24, strato CGc), è tipica del XIV ÷ XVII secolo.
F. Invetriata arancio: un piatto o bacino privo di ingobbio (fig. 38-A e 43, 141:7+8+10+14+15), del XVI-XVII secolo, o, meno probabilmente, del XVIII, proveniente dal settore 1 (quadrato K27, strato H); ad esso appartengono anche alcuni frammenti privi di vetrina (ad esempio 118:2÷5, dal quadrato I26, strato CGc), che, in un primo momento, erano parsi impasti teneri e depurati di ceramiche più antiche.
G. Invetriata verde: due differenti produzioni craquelées su spesso ingobbio bianco, testimoniate rispettivamente da un fondo di scodella a disco piano (fig. 38-A e 43, 113:8), proveniente dal settore 1 (quadrato I27, strato CGc), a cui si possono attribuire anche due frammenti di bordo (141:12, 141:23) dal quadrato K27 (strato H), e da un fondo di piatto (fig. 38-A e 43, 431:3+5+6) dal settore 4 (quadrato G17, strato H), a cui sono pertinenti quattro frammenti di bordo (111:1, 131:2+3, 141:1) e due di parete (113:13, 212:2) dai settori 1 e 2 (quadrati I27, K27, L27 e N23, strati H e CGc e struttura F1: si noti la notevole dispersione dei frammenti, cf. fig. 14); i due prodotti, che risultano interstratificati, sono normalmente databili al XVII-XVIII secolo, ma in questo caso, data l’associazione con una moneta emessa nel 1785
59, la loro cronologia può essere circoscritta al XVIII secolo. Altri frammenti di invetriata craquelée su ingobbio bianco del XVII-XVIII secolo, ma di colore giallo (scodella con prese polilobate recanti un motivo vegetale impresso), sono presenti nel sito lâ Mianda ‘d Laz Arâ 1, individuato a soli 360 m da Roccho Vélho nel corso della prospezione archeologica della cresta spartiacque Risagliardo / Germanasca (fig. 38-B).
H. Slip ware: un piatto o bacino di colore crema su bruno del XVIII secolo, testimoniato da una tesa (fig. 38-A e 43, 332:3), proveniente dal settore 3 (quadrato M18, struttura F2), e da un bordo con tacche incise a trascinamento sull’orlo esterno (212:1), dal settore 2 (quadrato N23, struttura F1); tale motivo decorativo è assimilabile alle cordonature plastiche digitate tipiche della slip ware del XVIII secolo.
I. Taches noires: due forme aperte del XVIII secolo, testimoniate da una tesa (fig. 38-A e 43, 112:1), proveniente dal settore 1 (quadrato I27, strato H), e da una più arcaica parete (332:1) proveniente dal settore 3 (quadrato M18, struttura F2).
J. Invetriata marrone: un fondo di probabile forma aperta (fig. 38-A e 43, 411:1+2+4+7 + 421:6), risalente alla fine del XVIII o, più verosimilmente, al XIX o all’inizio del XX secolo (settore 4, quadrati G18 e G19, strato H).

Tutte le classi ceramiche menzionate presentano impasti molto depurati, micacei, ricchi di componenti ferrosi che hanno reagito alla cottura in ambiente ossidante assumendo un vivace colore rosso-arancio. Ciò fa pensare che, dalla protostoria all’età moderna, sia stata utilizzata sempre la medesima materia prima, rinvenibile localmente. Sono rari i casi di arricchimento dell’impasto con inclusi millimetrici di quarzite, calcite o chamotte, che risultano circoscritti all’invetriata marrone contemporanea (411:1+2+4+7 + 421:6), all’olla da fuoco tardomedioevale (131:4+7 + 141:19) e alle olle da fuoco presunte medioevali (122:5-6, 222:3).
È forse il caso di osservare che, mentre le invetriate e le altre ceramiche di età moderna recuperate nei sondaggi di Roccho Vélho, che sono verosimilmente di produzione subregionale, risultano molto depurate, i frammenti di invetriata beige del XVII/XVIII secolo, raccolti, nel corso della prospezione archeologica della cresta spartiacque Risagliardo / Germanasca, all’interno dei trinceramenti francesi di Colle Laz Arâ 4
60, nel sito Colle Laz Arâ 2 (1:1-2), presentano un impasto contenente inclusi millimetrici di quarzite e chamotte, che potrebbero quindi ipoteticamente costituire un elemento discriminante tra produzioni subregionali e produzioni di provenienza transalpina. Va osservato a questo proposito che per il Pinerolese non esistono a tutt’oggi (2003) classificazioni di riferimento per quanto riguarda seriazione, cronologia di dettaglio, produzione, uso e commercio delle ceramiche medioevali e postmedioevali61.


h) Vetro

Numerosi frammenti di vetri di varii colori sono stati raccolti in tutti i settori (quadrati G17, G18, G19, H16, H19, K27, M17, M18, N17, N23, strati H e CGc, strutture F1 e F2; fig. 16, 18 ÷ 19 e 21 ÷ 22): si tratta di resti di recipienti di produzione industriale corrente, quali bottiglie di vetro bianco (311:8, 422:5, 441:1) o verde (311:10, 411:8) e altri contenitori in vetro bianco (213:5, 421:1) o verde chiaro (312:3, 331:7), per lo più recenti o indatabili.
Non mancano fiale (311:9+11, 431:12), forse per medicinali o per sostanze utilizzate in agricoltura, e una parete di vetro bianco piatta e sottile, forse pertinente a una lanterna (141:26)
62. Il frammento più «antico» è un bordo di vasetto o piccolo bicchiere di colore bleu scuro (fig. 38-A, 322:9), di fabbricazione artigianale, ottenuto a stampo, con labbro molato a mano, espanso ed esoverso (spessore 0.5 cm, diametro interno Å 4 cm), parete diritta (spessore uniforme 0.4 cm), miscela bollosa, frattura concoide.
Dal settore 3 (quadrato M18, strato H; fig. 15 e 21) provengono inoltre tre perline in vetro di colore turchese (331:8÷10), delle quali due semitoriche e una subcilindrica, con diametro 2 ÷ 3 mm e fori passanti con diametro ² 1 mm,dana"> nonché una perlina subcilindrica in vetro di colore rosso (331:11), con diametro di 5 mm e foro passante ellittico con assi di 1.5 e 2 mm (fig. 39). Una delle perline semitoriche di colore turchese e quella rossa sono fessurate. Tutte mostrano una miscela vetrosa microbollosa. Si tratta probabilmente di produzioni di età molto recente (XIX-XX secolo?), ma una datazione affidabile potrà difficilmente essere proposta in assenza di analisi appropriate
63.


i) Ferro

Tutti i settori (quadrati H18, I27, K27, L26, M17, M18, N17, N23, strati H e CGc, struttura F2; fig. 15 ÷ 17, 19 e 21 ÷ 22) hanno restituito oggetti in ferro fabbricati a mano: chiodi di calzature, frammenti di borchie e fermagli. Alcuni frammenti sono troppo informi, rotti e ossidati per potere essere ricondotti a oggetti precisi.
I chiodi da calzatura (per scarponi e zoccoli) hanno la testa grossa e robusta in rapporto allo stelo, relativamente corto e sottile (fig. 33-A). Prevalgono i chiodi a testa sfaccettata (4 facce), con stelo a sezione subrettangolare, sovente piegato (135:2, 141:3-4, 312:2, 331:3, 414:3), in un caso a sezione circolare (331:4). L’esemplare 331:5 è in una lega, di colore grigio scuro, meglio conservata delle altre. Anche i chiodi a testa circolare (115:6, 141:16) hanno lo stelo a sezione subrettangolare (322:10) o subcircolare (141:2)
64.
Le borchie si contraddistinguono per lo stelo doppio e, in generale, per la struttura più fragile rispetto ai chiodi (fig. 33-A); l’esemplare 141:20 è completato da una sottile rondella forata (141:21)
65, mentre il frammento 213:2 ha una spessa capocchia subcircolare.
Il fermaglio per abbigliamento 141:6 (fig. 33-A), mancante del suo gancetto, trova per il momento riscontro nei più nobili antecedenti in leghe di rame dell’abbazia di Marmoutier e di altri siti alsaziani
66.


j) Rame

Dal settore 1 (quadrato L27, strato H; fig. 15 ÷ 16 e 44) proviene una moneta in rame dell’epoca di Vittorio Amedeo III di Savoia (fig. 33-A e 39, 131:1), con diametro di 1.6 cm e contorno liscio. Sul diritto è parzialmente leggibile una iscrizione, contornante una croce piana filettata:
«VI[C(TORIVS) A]M(EDEVS) [D(EI) G(RATIA) R(EX) SAR(DINIAE)] CYP(RI) ET (H)IER(VSALEM) D(VX) SAB(AVDIAE) ET M[ON(TIS) F(ERRATI) P(RINCEPS) P(EDEMONTIS)]».

Sul rovescio sono visibili una corona tra due rose, il nodo sabaudo e la data 1785. Si tratta di un «due denari» coniato nel 1785 dalla zecca di Torino
67. Questa moneta, le cui emissioni si succedono annualmente dal 1773 al 1793 e ancora nel 1796, per un totale di 19.407.360 pezzi68, «teoricamente avrebbe circolato sino alla introduzione del sistema decimale, durante la Repubblica Piemontese, ma in realtà ha continuato a essere accettata nei pagamenti, almeno nelle campagne, sino ai primi anni del XX secolo, venendo rapportata alle monete successive cui assomigliava maggiormente»69.
Rinvenuto 7 cm al di sotto del piano di calpestio attuale, l’esemplare in questione risulta stratigraficamente associato ad alcuni frammenti di ceramica invetriata verde (131:2+3), rinvenuti a una quarantina di cm di distanza, 8 cm al di sotto del piano di calpestio attuale, a conferma del fatto che tale classe ceramica, prodotta sin dal XVII secolo, era ancora in uso almeno alla fine del XVIII secolo.

Nel settore 3 (quadrato N17, struttura F2; fig. 15 e 21) è stato rinvenuto un bottone a occhiello in rame (fig. 33-A, 322:5), con decorazione floreale (stella alpina?) stampata sul disco, probabile accessorio di un vestito da montagna, databile a un momento successivo alla fine del XVIII secolo
70.


k) Resti vegetali macroscopici

Tutti i settori di scavo e tutti gli strati hanno restituito resti vegetali carbonizzati o semi-carbonizzati. Se si eccettuano i focolari F1 e F3, riconosciuti nel settore 2 (quadrati N23 e N24; fig. 12 e 18 ÷ 19), e un esile lente di cenere osservata nel settore 1 (quadrato K27; fig. 16), si tratta per lo più di resti di dimensioni infracentimetriche, molto dispersi nei sedimenti, che paiono di apporto eolico e che non sono quindi necessariamente indice di attività svoltesi nelle immediate vicinanze di Roccho Vélho.
La presenza di legno non carbonizzato non solo nello strato H (settore 1, quadrato K27, reperto 141:5; fig. 16), ma anche negli strati CGc e A (settori 1 e 2, quadrati I27 e N23, reperti 113:3, 113:5 e 215:1; fig. 17 e 20), sino a una profondità massima di 56 cm rispetto al livello di campagna attuale, non deve stupire. In clima freddo, infatti, certe essenze, come ad esempio il larice, possono resistere nel sottosuolo senza marcire per periodi relativamente lunghi, così come si è recentemente osservato nelle Hautes-Alpes, sia nella grotta ornata del Mian (Névache)
71, sia accanto alle rocce incise del Peyroun (Ristolas)72.
Le esperienze maturate in Briançonnais negli ultimi anni dimostrano che i resti vegetali (semi, carboni e macroresti) che si rinvengono nei sondaggi ai piedi delle rocce incise costituiscono una parte non trascurabile delle tracce di frequentazione riferibili agli incisori rupestri, dalla quale è quindi necessario ottenere il massimo dei dati. La determinazione di tali resti fornisce informazioni sulla provenienza e sul comportamento degli incisori e permette inoltre di ricostruire le fluttuazioni storiche del limite superiore della foresta. Queste fluttuazioni, provocate almeno in parte da attività agro-silvo-pastorali contestuali alla realizzazione dei petroglifi, costituiscono perciò un importante indizio di tali attività.
Allo scopo di completare la documentazione sulla frequentazione antropica di Roccho Vélho nel corso dei millenni, è quindi raccomandabile lo stanziamento di fondi destinati all’analisi paleoantracologica e paleocarpologica di ampi campioni dei resti botanici raccolti.
In caso di ripresa dei sondaggi, è inoltre raccomandabile lo stanziamento di fondi destinati alla datazione radiocarbonica del focolare F3, il quale, in virtù della sua posizione alla base dello strato CGc, dovrebbe testimoniare di una delle prime fasi della frequentazione antropica di Roccho Vélho.


l) Deiezioni animali

A differenza di quanto constatatosi nella grotta del Mian73, i sondaggi non hanno restituito alcuna traccia macroscopica di deiezioni animali, benché l’osservazione diretta odierna e le fonti storiche (Libro delle Valbe) permettano di affermare che la zona di Roccho Vélho funge da pascolo da lungo tempo.
Come è noto, il tenore in Fosforo inorganico del suolo varia grandemente in relazione alle differenti attività umane che vi si svolgono. Esso passa infatti, indicativamente, da 20 mg/kg nei terreni tenuti a pascolo, a 200 mg/kg in quelli sottoposti a concimazione o sede di abitazioni, a 2 000 mg/kg in quelli adibiti a scarico di rifiuti o a sepoltura.
Considerando che l’insieme delle testimonianze antropiche rinvenute ai piedi di Roccho Vélho suggerisce fortemente l’esistenza di un multiforme uso delle superfici circostanti l’affioramento roccioso, in relazione alle differenti attività umane che vi si svolgevano, l’effettuazione di un congruo numero di analisi chimiche dei suoli, volte a determinarne preventivamente il tenore in Fosforo inorganico, consentirebbe di meglio riconoscere e definire le aree destinate a ciascuna di tali attività
74 e di orientare la prosecuzione dei sondaggi geo-archeologici, ottimizzando gli interventi.



2.7. Osservazioni conclusive

Nel loro insieme, i materiali rinvenuti tradiscono una ripetuta frequentazione di Roccho Vélho nel corso dei millenni. Il loro significato storico è purtroppo diminuito dalla bassa risoluzione stratigrafica del sito, che in entrambi i suoi strati antropici fondamentali (H e CGc) presenta reperti preistorici o protostorici (come le due selci, alcuni degli strumenti in quarzite, uno dei cristalli di rocca, uno dei frammenti ceramici e probabilmente la perlina nerastra) interstratificati con reperti moderni e contemporanei (la maggior parte delle ceramiche, i vetri e i metalli) e ad altri di per sé difficilmente databili in quanto cronologicamente ubiqui (i dischi in gneiss, alcune quarziti, le lastrine in gneiss cloritico minuto) e/o di non accertata origine culturale (alcuni dei manuports).
Bisogna d’altra parte tenere conto del fatto che, al di fuori dei pochi quadrati dove i sondaggi hanno avuto modo di estendersi in profondità, le modalità della sedimentazione e i cicli di erosione nei settori del vallone di Pramollo immediatamente prossimi alle creste che lo delimitano restano ampiamente ignoti, sia in generale, sia nei dettagli. Con i sondaggi ai piedi di Roccho Vélho si è anzi aperto il primo scavo geo-archeologico all’aperto della val Chisone.
Dal punto di vista dell’archeologia spaziale, è interessante notare, anche in vista della ripresa dei sondaggi, che i materiali sicuramente premoderni si concentrano quasi esclusivamente nei settori 1 e 2, cioè a Nord e a Est di Roccho Vélho (fig. 13 ÷ 15).
L’approfondimento e l’ampliamento dei sondaggi permetteranno sicuramente di giungere a un più articolato inquadramento storico del sito, soprattutto grazie alla completa messa in luce delle strutture F2, F3 e F4 (fig. 12, 25, 29 e 31), per ora solo iniziata, e di altre che verranno verosimilmente rinvenute.
Il complesso contesto rivelato dai primi sondaggi merita senz’altro ulteriori approfondimenti. I risultati qui ottenuti e ottenibili avranno certamente dei risvolti, per quanto concerne l’archeologia rupestre e la metodologia dell’archeologia di alta montagna, che andranno ben al di là del sito in sé stesso.


3. Archeologia stratigrafica del territorio


L’insieme dei dati raccolti con le due operazioni svolte nel 1996 sulle montagne di Pramollo si presta ad alcune preliminari considerazioni crono-stratigrafiche sulla frequentazione umana del territorio esaminato.
La frequentazione preistorica di Roccho Vélho, che si è verosimilmente sviluppata a più riprese tra il calcolitico e la tarda età del bronzo
75, come suggeriscono alcuni dei materiali rinvenuti nei sondaggi geo-archeologici (in particolare selci, strumenti in quarzite e perlina nerastra), e alla quale potrebbero forse risalire le coppelle di tipo Monsagnasco, costituisce il termine crono-stratigrafico inferiore di una successione stratigrafica per ora molto lacunosa, che pare tuttavia di vedere proseguire nella protostoria (ceramica a impasto tenero dal settore 2) e poi nel medioevo avanzato e all’inizio dell’età moderna (ceramiche a impasto grezzo dai settori 1 e 2).
Anche la prospezione archeologica della cresta spartiacque Risagliardo / Germanasca ha rinvenuto tracce di una fase di occupazione del suolo di età tardomedioevale - protomoderna, alla quale risalgono probabilmente la fondazione di un alpeggio elevato (Gran Truc 3, posto sul fondo di una conca allungata originata dallo sdoppiamento della cresta
76) e di altri piccoli insediamenti di cui non sussistono che esili indizi (Plan Frìaro 3), la realizzazione dei primi petroglifi cristiani (fase I di Piano Bruciato 4) e, forse, catastali (ôcha77 di Clot Boussìou 3 e di Costa Laz Arâ 13)78, nonché le prime attività di cavatura di materiali lapidei da costruzione (gneiss di Costa Laz Arâ 8 e, successivamente, di Costa Laz Arâ 6; fig. 33-B). Nei sondaggi di Roccho Vélho sono del resto stati rinvenuti materiali litici cavati lungo la cresta spartiacque Germanasca / Risagliardo (dischi in gneiss ipermicaceo, lastrine in gneiss cloritico minuto).
In avanzata età moderna, le attività militari in occasione della guerra di successione spagnola, ai tempi della «Repubblica di San Martino» (1704), lasciano nel territorio una profonda impronta, materializzata non solo dai più noti trinceramenti di Colle Laz Arâ
79 (donde proviene, forse non a caso, l’invetriata beige con impasto differente da quello delle altre ceramiche rinvenute in zona), ma anche dalla «Ridota Bacara»80 (Costa Laz Arâ 10), un trinceramento a pianta poligonale che costituiva l’ala sud-occidentale dello schieramento dell’esercito francese comandato da Louis de la Feuillade81, con compiti di copertura sul fianco destro, in virtù della quota (1 645 m) leggermente superiore a quella della installazione principale (Colle Laz Arâ 4, 1 570 ÷ 1 600 m).
Alle strutture militari, funzionalmente effimere ma strutturalmente durature, si sovrappone in seguito la regolarizzazione catastale del 1761-1764
82, mentre proseguono la frequentazione di Roccho Vélho, la cui peculiarità è ben percepita dal catasto stesso, e le attività di cavatura di materiali da costruzione.
Quando queste ultime, divenute antieconomiche, decadranno, pastori e cacciatori resteranno soli a spartirsi le magre risorse dell’ambiente montano.


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1 Progetto di ricerca «PETRAO - Petroglifi delle Alpi Occidentali», testo n. 50.

2 Antropologia Alpina, Corso Tassoni 20, I-10143 Torino (studio@antropologiaalpina.it).

3 Dipartimento di Scienze Antropologiche, Archeologiche e Storico-Territoriali, Università di Torino, Via Giolitti 21/E, I-10123 Torino (anna.gattiglia@unito.it).

4 M. ROSSI, A. GATTIGLIA, 2001.

5 Cattedra e Museo di Antropologia, Università di Napoli Federico II, Via Mezzocannone 8, I-80134 Napoli (ffedele01@yahoo.it).

6 Dipartimento di Biologia Animale, Università di Torino, Via Accademia Albertina 17, I-10123 Torino (alberto.mottura@unito.it).

7 Bureau d’Études Géologiques Téthys, Les Aubergeries, F-05380 Châteauroux-les-Alpes (begtethys@free.fr).

8 Dipartimento di Scienze della Terra, Università di Torino, Via Accademia delle Scienze 5, I-10123 Torino (rosalino.sacchi@unito.it).

9 Département des Recherches Archéologiques Subaquatiques et Sous-Marines (DRASSM), 58/bis Rue des Marquisats, F-74000 Annecy (yves.billaud@culture.fr).

10 Dipartimento di Georisorse e Territorio, Politecnico di Torino, Corso Duca degli Abruzzi 24, I-10129 Torino (maurizio.gomez@polito.it).

11 Institut de Recherche sur les Archéomatériaux (IRAMAT), Centre Ernest Babelon, C.N.R.S. - U.M.R. 5060, 3/d Rue de la Férollerie, F-45071 Orléans cédex 2 (gratuze@cnrs-orleans.fr).

12 Associazione Botanica Alpi Cozie, Casella Postale 3, I-10062 Luserna San Giovanni (renisbet@tin.it).

13 Già laureanda del Dipartimento di Scienze Antropologiche, Archeologiche e Storico-Territoriali, Università di Torino, Via Giolitti 21/E, I-10123 Torino (giovanna.cattaneo@libero.it).

14 Museo Civico di Cuneo, Via Santa Maria 10/A, I-12100 Cuneo (giofea@tin.it).

15 Antropologia Alpina, Corso Tassoni 20, I-10143 Torino.

16 Dario SEGLIE, informazione orale; cf. anche, in generale, M. CHARDON, 1984, p. 215-216.

17 Valba = «Regione, tratto di terreno o di paese» (V. DI SANT'ALBINO, 1859, p. 1197).

18 Sul cui interesse dal punto di vista dell’archeologia rupestre cf. M. ROSSI, A. GATTIGLIA, 2001, p. 12-16.

19 G.E. DENRICIS, D. TORTORE, 1764, p. 101-102.

20 A. BORGHI, P. CADOPPI, A. PORRO, R. SACCHI, R. SANDRONE, 1984, p. 507-508, 514-517.

21 S. PONS, R. GROSSO, 1965, p. 148, 151; G. BESSONE, R. FONTANINI, P. RICCHIARDI, D. SEGLIE, 1972, p. 45, 49-50; D. SEGLIE, P. RICCHIARDI, G. BESSONE, 1977, p. 130-133; D. SEGLIE, P. RICCHIARDI, 1978, p. 410-412, 428; C.G. BORGNA, 1980, p. 119, 235-236, 260, 262; R. NISBET, D. SEGLIE, 1983, p. 61; D. SEGLIE, 1987, p. 54, 57; A. DRAGO, P. PARENTE, 1991, p. 179; D. SEGLIE, P. RICCHIARDI, M. CINQUETTI, 1991, p. 207.

22 Così come definito da F. FEDELE, M. ROSSI, A. GATTIGLIA, 1994, p. 51 (con rimandi bibliografici).

23 Per la definizione di tale tecnica di realizzazione, cf. M. ROSSI, A. GATTIGLIA, R. CASTALDI, L. CHIAVERINA, F. FEDELE, R. NISBET, P. ROSTAN, 1999, p. 67 (con rimandi bibliografici).

24 Forme simili esistono in parecchie altre località piemontesi o limitrofe, tra cui Reano (Torino), Usseglio (Torino), Bessans - Plan des Gaètes (Savoie), Montalenghe (Torino), Arnad - Machaby (Aosta), Zubiena - Ròch d’la Sghia (Biella), Omegna - Monte Zuoli (Verbania) e Miazzina - Sasso di Pala (Verbania): cf. L. CIBRARIO, 1904, p. 126; M. SCARZELLA, P. SCARZELLA, 1969, p. 50-52, 69, 71; G. DONNA D’OLDENICO, 1972, p. 26; G. NELH, 1981, p. 71-72; F. COPIATTI, A. DE GIULI, 1997, p. 34; A. BIGANZOLI, 1998, p. 101. Un vivo ringraziamento ad Alberto Santacroce (Torino), cui si deve la maggior parte delle informazioni contenute in questa nota. Verso la fine del XVII secolo, nella diocesi di Grenoble, la proibizione per le donne, pena l’esclusione dal matrimonio, di compiere scivolate sulla neve, servendosi talora di uno slittino, è più volte ribadita dal vescovo, «attandu l’indécence et le danger qu’il y a pour ce sexe dans cette sorte de divertissements» (R. CHANAUD, 1977, p. 54, 60-61 (nota 55), 88, 90, 98; cf. anche C. SEBESTA, S. STENICO, 1966, p. 127; D. DOUS, 1992): a quando le pubbliche scuse da parte di Giovanni Paolo II, il papa sciatore, per questa ennesima discriminazione sessista operata dai suoi illuminati predecessori?

25 Dipartimento di Georisorse e Territorio, Politecnico di Torino, Corso Duca degli Abruzzi 24, I-10129 Torino (lesca@libero.it).

26 M. ROSSI, 1997, p. 33-54; M. ROSSI, A. GATTIGLIA, R. CASTALDI, L. CHIAVERINA, F. FEDELE, R. NISBET, P. ROSTAN, 1999, p. 15-54.

27 Cf. A. CARTON, M. PELFINI, 1988, p. 56-59.

28 Cf. infra, § 2.6/g e 2.6/j.

29 Si rammenti la definizione d’uso fornita dal Libro delle Valbe, cf. supra, § 2.1.

30 M. ROSSI, A. GATTIGLIA, R. CASTALDI, L. CHIAVERINA, F. FEDELE, R. NISBET, P. ROSTAN, 1999, p. 33, fig. 5, 14, 18; M. ROSSI, A. GATTIGLIA, L. CHIAVERINA, P. ROSTAN, 2000, p. 110-111, fig. 3 e 11.

31 Cf. S.A. DE BEAUNE, 1989.

32 Cf. infra, § 2.6/c.

33 Cf. infra, § 2.6/e.

34 S. ROSCIAN, F. CLAUSTRE, J.-É. DIETRICH, 1992, p. 220 (fig. 3, n. 10), 234-235.

35 Lo stesso vale per il cristallo di pirite alterata 115:7 (quadrato I27, strato CGc; fig. 41).

36 R. NISBET, P. BIAGI et al., 1987, p. 62-63.

37 M. ROSSI, A. GATTIGLIA, M. DI MAIO, P. ROSTAN, 1993, p. 25, 37-39; M. ROSSI, A. GATTIGLIA, 1994, p. 27, 46.

38 Reperto inedito attualmente in studio da parte di Aureliano Bertone (Museo Civico Archeologico di Chiomonte, Palazzo Levis, I-10050 Chiomonte, archeomuseo.chiomonte@virgilio.it).

39 C. D’AMICO, E. STARNINI, 1996, p. 75-77 (n. inv. BF16), tav. III.

40 A. BOCQUET, 1969, p. 205-206.

41 J. VITAL, 1986, p. 510.

42 T. LEGROS, 1990, p. 230-231 (con ulteriori rimandi bibliografici).

43 M. ESCALON DE FONTON, 1970, p. 525 (fig. 20).

44 C. FARIZY, M. ORLIAC, 1988.

45 Secondo F. BRAUDEL, 1982, p. 209, 241 (nota 172), l’uso dei tappi di sughero era ancora ignorato «nel Cinquecento e forse ancora nel secolo dopo».

46 Ipotesi funzionali ancora più varie, che nel caso qui in esame sarebbero però fuorvianti, sono state proposte per i dischi in ceramica, morfologicamente simili a quelli in questione, che sono comuni nel neolitico del Vicino Oriente (E. ORRELLE, 1996).

47 Cf. T.G. PONS, 1978, p. 48.

48 J. TIVOLLIER, P. ISNEL, 1938, II, p. 371.

49 Ad esempio, per limitarsi ad aree circostanti Roccho Vélho: Pramollo - Piano Bruciato (M. ROSSI, 1999, p. 87, 105), Névache - grotta del Mian (M. ROSSI, 1997, p. 41-43, con ulteriori rimandi bibliografici), Mompantero - Ecovà 100 (M. ROSSI, 1999, p. 82, 102), Ristolas - Vallon de l’Égorgéou (M. ROSSI, 1999, p. 80-82, 99-101; M. ROSSI, A. GATTIGLIA, R. CASTALDI, L. CHIAVERINA, F. FEDELE, R. NISBET, P. ROSTAN, 1999, p. 34-41, fig. 4 ÷ 5, 8, 10, 13 ÷ 14, 16 ÷ 17, tav. 2), Molines-en-Queyras - Vallon du Longis (M. ROSSI, P. ROSTAN, 1995, p. 52-53; M. ROSSI, A. GATTIGLIA, R. CASTALDI, L. CHIAVERINA, R. NISBET, R. PIERVITTORI, P. ROSTAN, 1998, p. 15, fig. 4; M. ROSSI, 1999, p. 78-80, 95-98; M. ROSSI, A. GATTIGLIA, L. CHIAVERINA, P. ROSTAN, 2000, p. 12-14, foto 3 ÷ 5, fig. 7 ÷ 8).

50 J. HENDERSON, 1988, p. 439-441, 447-448, tav. 1.

51 P. BELLINTANI, A. BIAVATI, M. VERITÀ, 1998, p. 18-19.

52 Département des Recherches Archéologiques Subaquatiques et Sous-Marines (DRASSM), 58/bis Rue des Marquisats, F-74000 Annecy (yves.billaud@culture.fr).

53 Institut de Recherche sur les Archéomatériaux (IRAMAT), Centre Ernest Babelon, C.N.R.S. - U.M.R. 5060, 3/d Rue de la Férollerie, F-45071 Orléans cédex 2 (gratuze@cnrs-orleans.fr). Cf. Y. BILLAUD, 1998; Y. BILLAUD, B. GRATUZE, 1998.

54 B. GRATUZE, 1999.

55 Associazione Botanica Alpi Cozie, Casella Postale 3, I-10062 Luserna San Giovanni (renisbet@tin.it).

56 Dipartimento di Georisorse e Territorio, Politecnico di Torino, Corso Duca degli Abruzzi 24, I-10129 Torino (maurizio.gomez@polito.it).

57 Mediante bilancia elettronica Mettler Salter-and-Er-120A.

58 Cf. le olle grezze del tipo 11, dell’XI-XIII secolo, classificate da T. MANNONI, 1975, p. 25-26, 144-145.

59 Cf. § 2.5 e 2.6/j.

60 Cf. A. PITTAVINO, 1905, p. 80-81; E. BALMAS, 1975, p. 28; S. GRIGLIO, E. PEYRONEL, 2000.

61 Cf. anche G. PANTÒ, 1997, p. 169.

62 Cf. T.G. PONS, 1978, p. 166 (fig. 50).

63 Cf. B. GRATUZE, 1999.

64 Cf. T.G. PONS, 1978, p. 66, 139 (fig. 43); F. MANDL, 1996, p. 81; G. CERWINKA, F. MANDL, 1998, p. 211, 231.

65 Cf. M. ROSSI, 1997, p. 44-45 (grotta del Mian); M. ROSSI, A. GATTIGLIA, R. CASTALDI, L. CHIAVERINA, F. FEDELE, R. NISBET, P. ROSTAN, 1999, p. 43-44 (Peyroun 1).

66 B. SCHNITZLER, 1990, p. 474 (esemplari non datati); cf. anche p. 412 (Artolsheim - Maison Schwoerer, bronzo, XIX secolo), 431 (Ottrott - Rathsamhausen, ottone, fine del XV - inizio del XVI secolo).

67 Cf. V.E. DI SAVOIA, 1910, p. 422 (n. 77, diametro 16 mm, peso 1.71 g); L. SIMONETTI, 1968, p. 224 (n. 20/13, diametro 16 mm, peso 1.56 ÷ 2.02 g); E. BIAGGI, 1978, p. 444 (diametro 16 mm, peso 1.56 ÷ 2.02 g).

68 M. TRAINA, 1967, p. 302, tav. CXXXV ÷ CXXXVII.

69 G. FEA, 1999.

70 Cf. i bottoni metallici «floreali» datati 1876-1910 da P. PEACOCK, 1972, p. 72-74 (tav. 31).

71 M. ROSSI, 1997, p. 49-53.

72 M. ROSSI, A. GATTIGLIA, R. CASTALDI, L. CHIAVERINA, F. FEDELE, R. NISBET, P. ROSTAN, 1999, p. 46, 51-52. La grande compattezza del legno di larice era già nota agli antichi, cf. VITRUVIO, De architectura, II, 9, 14-16.

73 M. ROSSI, 1997, p. 36 (fig. 27, d), 53-54, 101.

74 Cf. F. FEDELE, R. CASTALDI et al., 1994, p. 43-50; 1995, p. 25-36.

75 Si è già precedentemente osservato (M. ROSSI, A. GATTIGLIA, 2001, p. 23) che, allo stato attuale delle conoscenze, l’affermazione di G.V. AVONDO, 1992, p. 72, secondo cui il vallone di Pramollo sarebbe stato popolato «già in età neolitica da tribù liguri» risulta del tutto priva di fondamento, anche trascurando l’incongruità cronologica tra neolitico e Liguri.

76 Cf. A. CARTON, M. PELFINI, 1988, p. 38-39. Tale singolare collocazione sembra richiamare l’inveterata abitudine provenzale di incentrare gli insediamenti sulle doline (M.J. ALLEN, A. LEWISON, 1987, p. 366-367), per cui la fondazione dell’abitato Gran Truc 3 risulterebbe non anteriore al XIV secolo, epoca in cui, per motivi socio-economici e religiosi, le comunità valdesi delle Alpi Cozie iniziano intensi scambi demografici con la regione provenzale (G.G. MERLO, 1984, p. 27-29, 42, 111-112; 1991, p. 29-30, 140-141; G. AUDISIO, 1988; P. PARAVY, 1993, p. 991-992).

77 Denominazione locale di tre brevi solchi rettilinei paralleli incisi nelle rocce, comunemente utilizzati come termini divisori (cf. T.G. PONS, 1978, p. 145).

78 M. ROSSI, A. GATTIGLIA, 2001, p. 9-11, 16, 23-25.

79 Forma ben cartografata da COMUNITÀ MONTANA CHISONE GERMANASCA, s.d.

80 Cf. G.E. DENRICIS, D. TORTORE, 1764, p. 90, con PROVINCIA DI TORINO, 1988.

81 Louis d’Aubusson duca de la Feuillade (1673-1725), luogotenente generale di Luigi XIV, poi maresciallo di Francia, nel 1705-1706 comanda l’esercito franco-spagnolo che, nel corso della guerra di successione spagnola, cinge d’assedio Torino, ma, sconfitto, è costretto a ritirarsi dalle forze congiunte del duca Vittorio Amedeo II e del principe Eugenio.

82 M. ROSSI, A. GATTIGLIA, 2001.